La leggenda della sirena Partenope

 

di Oriana Pagliarone

 

 

L’altro giorno ho ritrovato per caso la moneta del mio vecchio liceo, il Vittorio Emanuele II di Napoli, in cui ho insegnato per tanti anni.  Quanti ricordi…

 

 

 

La moneta, coniata all’indomani del 125° anniversario della fondazione del liceo, è la riproduzione di un antico didrammo del V sec. a.C., raffigurante il dio fluviale Acheloo, toro con volto umano, il contrario del Minotauro. 

Achelaoo era il padre della sirena Partenope, raffigurata sull’altra faccia dell’antica moneta.

 

 

 

Simbolicamente la vittoria della ragione e dell’intelletto sulla “bestialità umana”: un richiamo dotto, iconograficamente intenso, che evoca le origini mitiche di

Neapolis.

Mi incanto ad osservare la moneta ed  ecco materializzarsi davanti a me la sirena

Partenope, bella, altera, metà donna e metà pesce, come piace a me, e non uccello con la testa di donna, come appare  nella descrizione del brano di Ulisse. Nella mia

fantasia le sirene sono pesci non uccelli. No, uccelli no.

 

                        

 

Partenope è arrabbiata e mi rimprovera con asprezza:  «Ora tu mi devi dire perché hai preferito raffigurare sulla moneta mio padre Acheloo, che certo non è bello , invece di utilizzare la mia immagine. Io sono molto più fotogenica, non trovi?»

Se non fosse una sirena sarebbe una Furia della mitologia romana o una delle Erinni della mitologia greca.

«Scusa, Partenope, anche a me sarebbe piaciuta di più la tua immagine sulla medaglia del nostro liceo, ma non sono stata io a decidere, lo sai. Sono mortificata, oltretutto sei veramente di una bellezza da mozzare il fiato.»

«Lo so, lo so, però mi dispiace, ci tenevo. E poi cosa avete voi esseri umani!  La volete finire di rappresentarci come uccellacci con la testa di donne, ma lo sapete che siete proprio dei misogini! Appena una è un po’ passabile subito la trasformate in un essere immondo… Lo so che Omero ci ha descritto così, però ci sono tante altre leggende molto più poetiche…»

«Non ti riferisci mica alla Sirenetta di Andersen? Quella è una storia macabra, cosa credi!

 

Ora te la racconto per sommi capi: alla sirenetta è concesso di visitare la superficie della terra al suo quindicesimo compleanno. Vede un principe su di una nave, che affonda in una tempesta, se ne innamora, lo salva e lo porta a riva.

Per diventare un essere umano, compra dalla Strega del mare una pozione per avere le gambe in cambio della propria voce (questo piacerebbe a tutti i mariti di mia conoscenza). Così combinata, con la lingua mozzata, deve cercare di conquistare il principe, altrimenti si dissolverà in schiuma, (anche questo piacerebbe tanto a molti uomini). Il principe non sposa la sirenetta, preferendole la solita principessa, immancabile in ogni favola. La sirenetta si rifiuta di uccidere il principe con un pugnale magico, come le consigliano le sorelle, e si dissolve in schiuma, che evaporando le consente di piangere. Bella consolazione! Che te ne pare?»

«Oh, ma che orrore! Non pensavo che le leggende sulle sirene fossero così truculente.»

«Ora ti racconto invece la leggenda tramandata dalla tradizione napoletana, partenopea appunto, molto più dolce, come sanno essere tutte le cose che riguardano Napoli.»

«Mi fai ridere:  tu la vuoi raccontare a me che ne sono la protagonista? Ascoltami, te la racconto io, la conosco meglio. Che dici?»

«Ma certo, bellissima Partenope, ti ascolto, non vedo l’ora di sentire la storia raccontata da te con la tua dolce voce melodiosa.», mi siedo di fronte a lei per non perdere neanche un dettaglio della narrazione, non un ammiccamento del volto, né un sorriso sfumato di melanconici ricordi.

«Sai come mi descrive Matilde Serao? “Era l’immagine della forte e vigorosa
bellezza che ebbero Giunone e Minerva, cui veniva rassomigliata […] i grandi occhi neri, la bocca voluttuosa, la vivida candidezza della carnagione, lo stupendo
accordo della grazia e della salute in un corpo ammirabile di forme[…]

Che ne dici, non male vero?»

«Certo, bellissima descrizione!

 

 

Ma a proposito, visto che stiamo parlando della tua bellezza, per caso quella statua che si trova a Palazzo San Giacomo, sul pianerottolo dello scalone centrale, chiamata

 Donna Marianna ‘a capa ‘e Napule, sei tu?

Gli scrittori Carlo Celano e Giovanni Antonio Summonte nei loro libri affermano che questa testa marmorea  è ciò che resta di una statua raffigurante te, la sirena    Partenope, simbolo per eccellenza di Napoli. »

«Effettivamente questo busto in marmo fu rinvenuto attorno al 1594 nell’Anticaglia, la zona più antica di Napoli nel Decumano Superiore e fu attribuito a me.

Dopo varie vicissitudini nella metà del 600’ venni collocata a Piazza Mercato e cominciai ad essere oggetto di un culto molto importante, quasi come una Madonna a cui confidare ogni segreto, rivolgere preghiere, suppliche, offerte, lamentele, preoccupazioni, lacrime, pensieri … e si diceva che avessi doni di preveggenza e che parlassi. Ero il simbolo della speranza che nutriva il popolo napoletano,

affranto dalle tante ingiustizie quotidiane.» 

«Ma perché Marianna, se ti chiami Partenope?»

«Anche questa è una storia alquanto complessa: l’attribuzione del nome, anche se non è del tutto chiara, è arrivato soltanto nell’800, ovvero a seguito della spinta insurrezionale del 1799 con la Rivoluzione Napoletana, il cui popolo trovò in me una guida, un simbolo da inneggiare, che potesse incarnare i principi di libertà, come la celebre Marianna della Rivoluzione Francese.
Secondo altre ipotesi, alquanto fantasiose, il nome Marianna mi fu dato quando il busto venne collocato di fronte alla Chiesa di Santa Maria dell’Avvocata, a pochi metri dalla centralissima Piazza Dante, dove, tra l’altro, era molto venerato il busto di Sant’Anna; da qui probabilmente la comparazione di Maria Vergine e Anna a cui fu titolata la chiesa, e la sintesi del nome Marianna. 
La tradizione voleva che nel giorno di Sant’Anna, celebrato il 26 luglio, le donne del popolo mi abbellissero come una santa con nastri e fiori per poi inscenare balletti e danze in mio onore; forse per rendermi partecipe della vita cittadina, vicino agli usi e costumi di Napoli.»

«Bene, almeno questo è chiarito, ma tu lo sai che a Napoli c’è il detto : “pare donna Marianna ‘a capa e’ Napule”? Come per dire di una persona con  ‘na capa tanta”, una testa voluminosa, che non passa inosservata.»

«Ora non essere impertinente, lo so, che ti credi! Ma ricordati che secondo gli antichi questo particolare è indice di intelligenza e sapienza! E ora basta con questa storia di Marianna ‘a capa e’ Napule!

Ma tu non volevi conoscere la mia leggenda?»

«Certo, comincia pure!»

«Allora devi sapere che sono stata una bellissima principessa greca, Partenope appunto, che in greco significa Vergine.

Mio padre voleva che sposassi Eumeo, mentre il mio cuore era tutto per Cimone.

Il nostro amore contrastato ci costrinse a fuggire con una nave verso lidi sconosciuti e lontani, verso mondi inesplorati.

”Partenope, tu mi ami?”, la voce di Cimone.

“Certo Cimone! Più della mia vita!”, il mio sussurro ha tutta la potenza della passione.

“Allora fuggiamo, tuo padre non permetterà mai questo matrimonio, l’unica soluzione è la fuga, lontano da tutti. Te la senti? Abbandonare tuo padre, le tue sorelle, i tuoi affetti più cari, i luoghi che hai sempre amato e che ti hanno vista bambina e poi fanciulla…”

“Non aggiungere altre parole, Cimone, io sono già tua, l’amore mi lega a te in un abbraccio così forte da non avere scampo, solo la vita insieme a te avrà, da oggi in poi, un senso. Io ti seguirò ovunque, perché tu sei l’Amore.”

Ogni donna innamorata sa riconosce questo sentimento assoluto, che annebbia la mente e infiamma il corpo, che non dà tregua e non può essere  meno violento, meno totalizzante, deve essere tutto e subito.

E così fu per noi.

Partimmo, con una nave, tra pericoli in mare e in cielo: burrasche e tempeste non ci trattennero dal continuare nel nostro vagare, fino a quando approdammo su di un litorale bellissimo.

Questo luogo incantato aspettava solo l’amore per fiorire e rispendere.

Ci siamo amati in ogni anfratto di questi posti nati per la gioia, dalla collina di Posillipo fino alle spiagge in riva al mare lucente di stelle riflesse.

Il nostro amore fece esplodere la natura, i fiori, la terra, il mare prolifico, un’eterna primavera, le giornate tiepide e profumate.

Mio padre con le mie sorelle ed uno stuolo di nobili cavalieri mi raggiunse, perché era arrivata anche a loro la voce del luogo bellissimo in cui vivevo, in un mondo rigoglioso degli infiniti doni della natura.

Non seppero allontanarsi più da questi posti e così fecero molte altre genti attirate dai racconti che si facevano intorno a questa natura così esuberante e splendida: un luogo dove vivere felici, circondati d’amore.

Era l’amore che faceva brillare tutto e tutti erano attirati da ciò che l’amore         produceva.

Anche dal lontano Egitto, dalla Fenicia, arrivarono colonie di popoli: portarono i loro figli, le immagini dei loro avi, degli dei, i loro averi, attirati dalla voce misteriosa che narrava di me, giovane donna che con l’amore aveva trasformato ogni cosa, ogni luogo in un posto felice dove vivere senza affanni.

Un primo nucleo abitativo si formò tra l’isolotto di Megaride, il Monte Echia e la zona di Pizzofalcone nel VII sec. a.C. e nacque Partenope, la mia città, la città della sirena amata da tutti, non più fanciulla ma donna ormai, madre saggia del mio        popolo, prodiga di consigli e doni.

Nel V sec. a.C. Partenope divenne Palepolis, ossia la città vecchia, perché  altre      popolazioni raggiunsero questi luoghi, inoltrandosi verso la pianura  e  l’altra collina, dando luogo a quella che  sarebbe diventata Neapolis, la città nuova.

E questa è la mia storia. Bella vero?»

«Bellissima! Una storia d’amore travolgente in un luogo incantato pervaso da un aria “ mbalsamata”. Ora capisco appieno il significato di questa parola!»

   «E come vedi  non muoio. Che bello! Una volta tanto non muoio!

Ma la storia tramandata da Omero? Lì faccio una brutta fine, vero? »

«Effettivamente! Se vuoi te la racconto!»

«Sì dai! Sentiamo!»

«Ma non arrabbiarti, guarda che Omero ti descrive come un uccello con volto di donna, sarà solo nel medioevo che acquisterai la forma che piace tanto a te, metà donna , metà pesce!»

«Va bene, sopporterò questa umiliazione, eppure sono così bella con questa lunga coda …»

«Dicevo, ti ricordi di  Ulisse, l’eroe omerico, vero?»

«Certo, ricordo che tentai  invano di sedurlo col mio canto, mentre navigava davanti alle coste di Positano, cercando invano la via che lo riportasse ad Itaca. Per non cadere nell’incantesimo del mio canto si fece legare dai suoi uomini all’albero maestro della nave, intimando loro di non liberarlo neanche se li avesse supplicati. Per precauzione volle che si turassero le orecchie con la cera per non cadere nella malia del canto mio e delle mie sorelle : riuscì così a vincere la mia forza ammaliatrice e a superare gli scogli, oggi chiamati “Li Galli”, la nostra dimora. Il resto non lo ricordo»

«Forse non vuoi ricordare, ma, umiliata  dal rifiuto subito, ti gettasti in acqua e andasti a morire sull’isolotto di Megaride, dove sorge ora il Castel dell’Ovo. Il tuo corpo fu raccolto dai pescatori del luogo, che da quel giorno ti onorarono con sacrifici e fiaccolate sul mare.»

 

 

 

«Ma figurati se mi uccidevo per Ulisse! Io, la più bella sirena del mare!

Io che posso avere ai miei piedi, si fa per dire, i più aitanti tritoni di tutti gli oceani!»

«Ma si può sapere dove sei sepolta veramente? A Capodimonte, sulle alture di sant’Aniello, sul monte Echia?»

«In nessun posto, io non sono morta…. Te lo dico con le parole della Serao.

 

 “Partenope non è morta, Partenope non ha tomba. Ella vive, splendida giovane e bella, da cinquemila anni; corre sui poggi, sulla spiaggia. È lei che rende la nostra città ebbra di luce e folle di colori, è lei che fa brillare le stelle nelle notti serene […]  Partenope, la vergine, la donna, non muore, non muore, non ha tomba, è immortale… è l’amore.”

 

Mentre nell’aria riecheggia il dolce suono di queste parole, Partenope mi sorride, mi  fa un cenno di  saluto con la mano, si volta.

La vedo allontanarsi e dissolversi ai miei occhi.

 

Apro la mano. Ho ancora nel palmo la moneta del liceo.

Guardo con più attenzione: al centro non c’è più Acheloo, ma …Partenope!

E sembra pure che mi strizzi l’occhio!