Camilla

 

 

Mi sono svegliata in un letto che non riconosco. In una stanza sconosciuta.

Mi metto seduta, sento il cuore battere forte. Questo battito è l’unica cosa che so distinguere nel buio.

Mi prende il panico, non capisco che cosa mi stia succedendo.

Mi alzo, il respiro corto, non so dove andare. Vedo una porta aperta, entro: è il bagno. Mi avvicino allo specchio, mi guardo…  non so di chi sia quella immagine riflessa. Il panico ora è alle stelle. Mi siedo su di uno sgabello. Sono sicura che è un incubo, sto sognando, ora mi sveglio e tutto tornerà come prima.

Ma prima come? Com’era prima? Prima di cosa? Prima di quando?

Oddio, mi sento svenire.

Scivolo per terra.

Buio.

Sento una voce agitata che diventa sempre più insistente: «Camilla, Camilla, che succede? Dai, dai, sono qui! Non ti muovere, sei svenuta, ora ti sollevo piano piano, altrimenti ti gira di nuovo la testa. Ecco, così, piano!»

Guardo questo signore seduto a terra vicino a me. Non so chi sia, mi guarda con apprensione, si sta preoccupando per me, mi sembra così strano, non capisco perché. Cosa ha detto? Sono svenuta? Non mi ricordo. Non so di cosa stia parlando.

«Vieni, ti riporto in camera da letto, quest’influenza ti ha debilitata troppo.» È deciso e sicuro, mi lascio portare nella stanza. Mi stendo sul letto. Non voglio dispiacere questo signore così gentile.

 

«No, senti, dico a te, non puoi continuare con questa storia dell’Alzheimer, è troppo triste, poi i lettori piangono, s’immalinconiscono. Io sono il tuo personaggio e non posso parlare, però ti avviso: è noioso!»

«Ma come ti permetti! Io sono l’autrice della storia, tu sei il mio personaggio e devi fare quello che dico io. Ma guarda un po’, non si è mai visto il personaggio di un racconto protestare così vivacemente. Sì, è vero ci sono stati i Sei personaggi in cerca di autore, ma raccontavano la loro storia, e cercavano appunto chi desse loro voce. Non si lamentavano per la tragedia che stavano vivendo e che volevano mettere in scena. Tu invece già protesti. Ma almeno aspetta di vedere come finisce la storia.»

«Ok, va bene, vediamo come procede questo racconto, ma ti avviso, devi essere  molto convincente.»

«Va bene, ora taci!»

 

Mi guardo intorno, quante foto alle pareti!

Le guardo con più attenzione: non riconosco nessuno, tranne il signore che mi ha aiutato a mettermi a letto.

«Cosa c’è? Stai guardando le foto? Sono tante, vero? Forse troppe. Lo so, te lo dico sempre di non esagerare, ma tu hai questa passione, non riesci a frenarti, vero?»

Io, la passione per la fotografia? Non so nemmeno di possedere una macchina fotografica, anzi non credo neanche di saperla usare.

Ma cosa mi sta succedendo? Chi è questo signore?

Non voglio scoprirmi dicendogli che non lo conosco, ho paura della sua reazione. D’altra parte non posso continuare a restare in silenzio, devo pur dire qualcosa. Per ora aspetto e vediamo cosa succede.

«Allora, ti senti meglio? Deve essere stato un calo di pressione, da qualche giorno sei sempre stanca e svogliata. Sarà l’influenza!»

Ma perché questo signore continua a parlarmi con tanta familiarità?

«Vuoi un bicchiere d’acqua? Ti misuro la pressione? Vuoi dormire un po’?»

 

«E basta! Ma quanto è servizievole questo marito! Fintissimo! E dai! Non esagerare! Tu non hai mezze misure! O asso o trent’uno! Insomma, io sono stufa di stare chiusa in questo racconto, voglio uscire all’aria aperta, voglio esprimermi come meglio credo.»

«Zitta! Devi stare zitta e aspettare!»

«Va bene, vediamo come finisce!»

 

Prendo il coraggio a due mani, quest’uomo ha diritto ad una spiegazione: «No, non te ne andare, ti devo dire una cosa: sono molto confusa, non mi ricordo niente, non ho memoria di me, né di te.»

«Ora non esagerare, ti senti frastornata, ma non mi dire che non sai che sono tuo marito, è una vita che stiamo insieme, dai, non scherzare!»

«Non sto scherzando. Dammi uno specchio. Ecco vedi, mi guardo ma non mi riconosco. Questa faccia non mi dice niente, mi sono persa!»

 

«Ecco, ora l’ho detto, voglio proprio vedere adesso come riesci a concludere. Non vorrai mica continuare con la solfa del” non ricordo niente”? Che lagna!»

«Zitta , ho trovato il finale!»

«Speriamo!»

 

«Ok, ti sei persa. Non ti spaventare! Sarà un piccolo blackout. A volte il cervello va in tilt. Ora calmati, rilassati. Chiudi gli occhi. Ascolta la mia voce. Tu sei Camilla, io sono Pietro, tuo marito, stiamo insieme da cinquant’anni. Abbiamo un figlio, Massimo, e un nipote, Matteo. Ora ti faccio vedere una foto che ami particolarmente. Apri gli occhi!»

 Apro gli occhi e guardo la foto davanti a me: le lacrime mi appannano la vista, ma proprio in questo momento riconosco l’immagine del mio amatissimo nipotino, il mio amore troppo lontano, al suo fianco mio figlio, un uomo ormai, e vicino a lui, Pietro, mio marito che divide con me, da sempre, la vita.

Lacrime, lacrime di gioia, di felicità per il miracolo di aver ritrovato lucidità e ricordi.

Senza ricordi non siamo niente.

 

«Sì, insomma, può andare. E soprattutto ora sono… libera!»

«Certo, certo, sei libera. Non ho mai incontrato un personaggio più impertinente di te. Ciao, Camilla. Buona vita.»

«Ciao, Oriana.»